paroleprecise

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09 settembre 2015

Sospetto (nero) di Percival Everett

In libreria. Giovani che commentano titoli e autori. Si capisce che sono adusi alla lettura, che conoscono e amano i libri. 
Uno prende in mano Sospetto di Percival Everett e chiede agli altri: “Lo avete letto, è interessante?” Non l’hanno letto ma un altro si arrischia a dire “Pare sia bello”. 

Si arrischia perché se il gruppo compatto non conosce e tace, meglio non parlare. Io ho letto il libro, mi è piaciuto, tanto, e mi permetto di suggerirlo al ragazzo. Allora interviene con decisione la ragazza che evidentemente guida il gruppo: “Lui (l’autore) mi sta sul cazzo, l’ho sentito in un’intervista”
“Allora che faccio” chiede il ragazzo che non vuole far la figura di quello che da retta alla signora da libreria.
“Prendilo, è pure nero

Nero è l’autore, afroamericano. Perché il libro magari fa schifo o non lo leggi, ma tu fai un figurone a dire in giro che leggi uno scrittore nero. Fa curriculum, evidentemente, in una sorta di incredibile razzismo al contrario, per cui uno scrittore non è più o meno valido per ciò che scrive, ma per il suo colore e la sua provenienza. 

Si legge per allargare il proprio ego acculturato, che si espande maggiormente se può vantare nell'elenco un nero o un palestinese o uno che ha scritto 3 righe 3 ma sotto tortura, e non importa se i loro libri siano buoni o meno. E’ la foto sul passaporto che conta.

Ma Sospetto (Nutrimenti Edizioni) è un gran libro e va assolutamente letto, perché è un thriller spiazzante ambientato nel potente paesaggio dominato dagli altopiani desertici del New Mexico, e perché racconta di solitudine e pietà di una parte d'America meno conosciuta.
Venne il crepuscolo e gli scarafaggi del deserto emersero dai loro buchi e strisciarono lungo il fiume in secca.


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