paroleprecise

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23 marzo 2014

Bangkok, una recensione


Chiudi il libro dopo aver letto l’ultima pagina e pensi che in realtà non è un libro solo su Bangkok, ma su chi decide mollare tutto e trasferirsi lì. Sono gli occidentali alla deriva, chiamati farang, che si perdono in una città misteriosa e avvolgente. I farang descritti da Lawrence Osborne sono inafferrabili, incomprensibili; cinici e romanticamente devoti a un’idea di bellezza che copre tutto, fallimenti, difficoltà e solitudine. Pensano di poter controllare la loro presenza e il loro presente a Bangkok, ma la città non si cura di loro, li illude e poi li fa scomparire, proprio come il protagonista viaggiatore, e gli strani tipi con cui familiarizza. 
Ogni volta che il protagonista/narratore torna a Bangkok, improvvisamente si materializza uno dei vecchi amici, sempre più improbabile e malridotto mendicante d’amore e d’attenzione, per poi scomparire di nuovo, in qualche bar o in qualche club, o sul tetto di un tempio buddista. Quasi risucchiati e riemersi dal fango di una città per settimane sotto una pioggia incessante. 


A Bangkok si arriva quando si sente che nessuno ci amerà più, quando si getta la spugna, e a pensarci bene la città è solo questo, il protocollo di una caduta […]”.
Il libro è sostenuto da una sofisticata tensione narrativa che rimanda ai grandi autori, Lowry, Green, e Somerset Maugham, anche se la scrittura non sempre è all’altezza di questa ricerca. E’ un’immersione in un mondo non solo lontano, ma altro da quello occidentale, in cui ogni azione è benedetta da mille significati buddisti, in cui il re è considerato una semi divinità, e la potente natura del sudest asiatico è così fisicamente intrecciata alla città. 

La Bangkok che il protagonista percorre nelle sue interminabili camminate per i soi, le vie della città, è un luogo per metà magico, per metà durissimo e inaccessibile. C’è la bellezza della natura, dei templi, dei volti dei giovani, e ci sono le case nascoste nella giungla in mezzo alla discarica, le botteghe in luoghi fetidi e improbabili, i cani randagi che abitano i templi e le strade. C’è il cibo, che diventa un viaggio nel viaggio: formiche, vermi, insetti, vodka allo scorpione, solo mangiando si ha la possibilità, o l’illusione, di non essere solo un anonimo farang ma di far parte del ritmo vitale della città. 


E poi c’è il sesso, tanto, ovunque, sempre, con chiunque. Negli squallidi club delle zone più infime della città, o negli alberghi di lusso, la mercificazione del sesso sembra essere l’attività principale. Il protagonista e i suoi amici non credono ai dati delle Ong sullo sfruttamento sessuale e sulla prostituzione minorile in Thailandia, perché secondo loro non tengono conto della vera natura dei thailandesi. Ma non è chiaro se sia vera libertà sessuale, come sostengono, o solo un’altra illusione del farang sfaccendato e senza scrupoli che vive a Bangkok, in cerca di un’assoluzione per la sua perdita di moralità : "a Bangkok ciascuno è libero di andare a pezzi come crede". 

BANGKOK
di Lawrence Osborne
Adelphi (2009)

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