paroleprecise

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02 marzo 2014

Urbino, Nebraska. Una recensione

La strada che sale verso Urbino è bellissima, si snoda attraverso prati verdi colline dolci e un paesaggio riposante che fa bene agli occhi e al cuore. Poi arrivi a Urbino, e lì le cose cambiano, per entrare in città ti inerpichi per strade che salgono sempre più ripide e fredde. La fatica del vivere, e del vivere in provincia, è già tutta nel titolo di questo romanzo in 4 tempi, Urbino, Nebraska, e che l’autore, Alessio Torino, posiziona però in un’area più vasta, nel Nebraska americano, perché la provincia con la sua fatica è la stessa ovunque. E il titolo non può non rimandare anche al leggendario album di Bruce Springsteen, con le sue piccole storie di dura vita di provincia.
La fatica che si percepisce dal passo narrativo e dai personaggi è quella di trovare una propria identità, slegata dalle tradizioni che in piccoli centri sono più forti e incatenanti, e allo stesso tempo radicata in quella realtà. 

Il libro si divide in 4 parti, separate tra loro eppure unite da rimandi temporali, nomi e consuetudini. Ogni racconto tradisce piccole seppur significative differenze di stile e ritmo. Nel primo brano, Zena Mancini, la protagonista è una giovane universitaria, vive alla periferia di Urbino con la sua normale e presente famiglia, in cui trova comprensione e protezione. Zena è in cerca della sua strada, mentre trascorre le sue lunghe giornate all’università e in giro per Urbino coi luoghi e le vie nominati come se fossero parti della scrittura, come se fossero i silenti testimoni della sua crescita e della sua maturazione: “(...) lei si sente una studentessa perché Urbino le dà un gran senso di libertà, come se ci abitasse da originaria di qualche altro posto”. 
Si sente libera perché si immagina altro, ma in realtà diventa se stessa proprio quando è Zena Mancini di Urbino, quando prende placidamente il caffè sul divano dopo pranzo con i genitori, quando ben calda tra le coperte nel suo letto decide che non andrà alla gita a Berlino. Sceglie di rimanere nella sua città / culla, anche se significa fare i conti con se stessa e i suoi problemi. E’ piatta la sua vita, come apparentemente piatta sembra la scrittura, che segue il ritmo lento della quotidianità delle famiglie di provincia, una scrittura che poi improvvisamente cambia quando racconta delle anomalie, la mamma tedesca che impone uno studio esasperato alla figlia (invisibile), gli amici che bevono e fumano troppo, e il fantasma di due sorelle trovate morte su una panchina tanti anni prima, per droga, e la loro mamma malata di cui si occupa la piccola comunità condominiale in cui vive Zena, l’unica realtà che conti, alla fine.


E questo cordone ombelicale con la famiglia d’origine e con la durezza, e la bellezza, di Urbino, legano anche i protagonisti degli altri 3 racconti: L’ultimo dicembre di Nicola Chimenti, Scale esposte a nord, La rotta
Nicola Chimenti ha deciso la sua strada, diventerà prete, ma questa decisione altererà irrimediabilmente gli equilibri nella sua vita, e i suoi rapporti con i componenti della band in cui suonava, che si sentono traditi da chi ha deciso di crescere e realizzarsi in un modo singolare e lontano.
Mentre in Scale esposte a nord Mattia Volponi, che da Urbino è partito per diventare un grafico di fama internazionale a Vienna, dove vive in una bella casa con la famiglia ideale, è vinto da una continua insoddisfazione e inquietudine che lo riporteranno a Urbino, a incontrare il vecchio padre alcolizzato e forse una nuova vita, perché partire senza aver fatto i conti col passato prima o poi presenta il suo conto. 
L’ultimo racconto, La rotta, è forse il racconto perfetto, che segna il passaggio di testimone dal nonno solido ex partigiano al nipote adolescente, che comprende il senso dell’attaccamento, della tradizione e degli affetti facendoli propri, senza rinunciare alla propria individualità, anzi facendola più ricca e sfaccettata. Su tutto pesa la storia di due ragazze morte per droga, della loro mamma senza più testa, e le storie minime di case affetti neve amici musica e l’andare e venire, come il ritmo circolare e universale di questi racconti.

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