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06 novembre 2013

Nathanael West e il piacere di giocare con la scrittura

Nathanael West è sicuramente uno dei più originali, complessi e importanti scrittori del primo Novecento americano; scrive in un arco di tempo che va dalla fine degli anni ’20 sino al 1940, anno della sua morte, a soli 37 anni. Scrittore e sceneggiatore, porterà avanti una carriera breve e discontinua, che comprende anche una sfortunata esperienza a Hollywood. La sua produzione letteraria non è molto ricca ma brillante e appassionante, e fortunatamente pubblicata in Italia.
I suoi quattro romanzi si possono leggere come un unico grande racconto di una umanità piccola e misera, avvolta e trasportata in un sogno più grande e incontrollabile, manovrata sempre da irresistibili, cinici e perfidi burattinai.
La narrazione è spesso discontinua, storie e personaggi si sovrappongono, trame diverse si intrecciano, rendendo isolate e frammentarie le azioni, ingigantendo i particolari, in un ritmo serrato e modernissimo; ma tutto si ricompone nel costante filo rosso del gusto per il grottesco e l’ironia, e nel coraggio di portare alla luce una angoscia, un malessere, un tipo di sensibilità che solo nei decenni successivi avrebbe trovato un suo spazio nella vita culturale americana. 

Il suo primo romanzo, il complesso e irriverente "La vita in sogno di Balso Snell" (Robin), è una vera festa della scrittura, anche se l’autore l’aveva definito una protesta contro la scrittura. Possiamo trovarci tutti i generi tradizionali, il diario, la lettera, il pamphlet, la biografia, piegati ad uno stile che continuamente si reinventa e si trasforma, e che segue il protagonista Balso in incredibili avventure all’interno di uno stravagante cavallo di Troia, a cui accede attraverso l’orifizio posteriore del canale digestivo.
"Signorina Cuorinfranti" (Minimum Fax) è lo pseudonimo con cui il protagonista, senza nome, firma una nota rubrica per cuori solitari. Miss Lonelyhearts / Signorina Cuorinfranti è sempre più coinvolto nelle dolorose vicende dei suoi lettori e pian piano diventa vittima dell’impossibilità di essere di aiuto, fino all’autodistruzione, in un compulsivo gioco di identità in cui il sogno assume le forme di una ossessione mistica di salvezza, una favola dell’allucinazione che diventa linguaggio. 

Una sorta di divertente parodia del romanzo d’iniziazione è "Un milione tondo" (Einaudi), in cui il giovane protagonista, Lem, viene allontanato dal nucleo familiare, e sotto la guida di un saggio, Whipple, dovrà superare una serie di prove assurde e umilianti fino a quella finale, la morte da eroe, un eroe patetico e funzionale al disegno malvagio del cinico Whipple. In realtà, arruolato a sua insaputa nel partito nazista, viene spogliato pezzo per pezzo del suo fisico e della sua dignità, immolato sull’altare del consumismo.
Dalla chiusura soffocante del cavallo di Troia del primo romanzo, dagli ambienti limitati di "Signorina Cuorinfranti", si passa al caos di esterni di "Un milione tondo", fino all’apertura totale, sotto un sole perenne e accecante, de "Il giorno della locusta" (Einaudi), l’ultimo romanzo, il più celebrato, anche con un importante film.
L’azione si sposta a Hollywood, nella fabbrica dei sogni che viene demolita con una satira lucida e attualissima; il miraggio dei disperati che vanno in cerca di gloria a Los Angeles si conclude miseramente in una scena apocalittica, un momento di follia e di allucinazione collettiva, in cui si riversano gli impulsi violenti di una folla in perenne attesa di un evento, di un avvenimento straordinario che regali un lampo di luce riflessa al buio della loro vita.

Questi sono i miseri di cui scrive West, i deboli e i cinici egualmente vittime di un disegno più grande al servizio del consumismo, del controllo e della mistificazione del sogno

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