paroleprecise

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19 ottobre 2013

La perfezione non è donna

Se ne discute da tempo, di donne che che si sentono sconfitte perché non sono perfette, anche su La La 27ora in questi giorni: le donne non riescono ad essere vincenti sul lavoro, mamme e mogli ideali contemporaneamente. Non si può, non è naturale, perché sono tre compiti altamente impegnativi, e nessun uomo sarebbe in grado di assolvere in modo decente a questi ruoli piegati al maschile. Ma all'uomo non si chiede di essere tutto contemporaneamente, e in modo brillante e vincente, solo alla donna, che accetta la sfida perché essere vincente solo in un campo sarebbe la sconfitta della tendenza all'emancipazione e alla realizzazione (parlare di femminismo non si può più, è oramai equiparato al terrorismo).

L'obiettivo delle lotte femministe degli anni '70 era la parità tra i sessi, intesa non solo di fronte alla legge, non solo in campo lavorativo, ma anche nella gestione della vita quotidiana. Condivisione di compiti, oneri e piaceri della vita coniugale, e dell'essere genitori. Obiettivo fallito. Da anni le donne hanno smesso di cercare la condivisione, ma cercano solo la realizzazione totale, madri mogli donne in carriera, credendo di poter fare tutto e tutto bene.
Non si può. Gli uomini non hanno più potere o non sono privilegiati nel lavoro perché riescono a fare tutto bene (quando mai!), ma perché possono concentrarsi solo su alcuni obiettivi da raggiungere, solitamente quelli in ambito lavorativo, e possono trascurare la gestione della quotidianità familiare.

In casa, in famiglia, le cose stanno più o meno come 30 anni fa. Qualcuno si nasconde dietro una lavastoviglie ben caricata, altri dietro un figlio accompagnato al calcio, ma nella maggior parte dei casi, la cura della casa e della famiglia spetta totalmente alla donna. E se, come ha osato fare la Presidente Boldrini, si prova a contestare una immagine della donna ancora eccessivamente piegata ai compiti di ancella del focolare, che impediscono la  concentrazione su di se e i propri obiettivi lavorativi, la risposta di giovani e agguerrite donne lavoratrici (in crisi), è: "Per me è un piacere occuparmi di chi amo e cucinare / lavare ecc. per lui / loro". Una risposta ineccepibile, se fosse data anche dagli uomini, che invece sono, a tuttoggi, liberi di non occuparsi dovutamente della famiglia e della casa, perché comunque c'è Superwoman: ha voluto la parità? e allora si impegni al massimo.

Ora, sul concetto di parità qualche pregiudizio va chiarito: parità non significa per forza che se un uomo guida una multinazionale o lavora 20 ore al giorno per raggiungere il successo, sia il modello da seguire. Parità significa che si vive ad armi pari. 

Che se decidiamo di mettere su famiglia, la famiglia la gestiamo insieme, che della scuola, del calcio e del dolce in forno ci occupiamo insieme, dividendoci compiti e orari, anche se lui fa l'avvocato e lei la maestra (che ha più tempo, si sa...); che se una donna partorisce, la società non la penalizza facendola tornare a lavorare 2 giorni dopo perché la gravidanza non è una malattia, come dicono Michelle Hunziker o Mariastella Gelmini, ma la mamma trova adeguato sostegno per poter vivere serenamente il periodo post partum, senza paura di perdere l'impiego o di essere declassata una volta tornata al lavoro; che i figli che crescono sono responsabilità anche della comunità, e non solo dei due genitori; che se la nonna non sta bene, ci si organizza in modo che non sia solo la mamma a fare l'infermiera, oltre a tutto il resto...


La condivisione in famiglia dipende da ognuna di noi, dall'uomo che scegliamo e da come impostiamo la nostra vita coniugale; il sostegno da parte della società (attraverso cambiamenti di usi, costumi e leggi) dipende dal noi collettivo, da una rete femminile che al momento non esiste, o è frammentata e dunque senza reale potere. Una rete che deve forzatamente superare barriere culturali e sociali, perché deve arrivare a coinvolgere donne di ogni estrazione e di ogni età, obiettivo irraggiungibile se si lavora con atteggiamento di superiorità culturale o con intenti didattici.


Le donne che vogliono fare tutto, e che poi cinguettano felici: meglio se non riusciamo, è bello essere imperfette, sono in realtà le peggiori nemiche di se stesse. L'obiettivo non è la perfezione, ma il giusto equilibrio tra vita privata e vita lavorativa, e se non c'è la condivisione e il sostegno del compagno, e del resto della società, l'equilibrio si trasforma in peso triplicato sulle spalle della donna/moglie/mamma. 
La superwoman è un modello perdente, perché non ha capito che per essere una donna realizzata non è necessario annullarsi nel tentativo disperato di dover dimostrare di essere la perfezione che l'uomo esige, bisogna essere consapevoli di limiti e prerogative, e non aver paura di pretendere sostegno, aiuto e collaborazione dalle altre donne, dagli uomini, dalla società e dalla politica

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